Il mio primo e unico biglietto da visita (… mai farsi prendere la mano e stamparne mille!) mi vede impegnata in un abbandono accompagnata dalla frase “la bellezza può cambiare il mondo”.
Si può davvero cambiare il mondo con un dono d’arte?
Penso di no, ma credo che si possa colpire il cuore delle persone che hanno la sensibilità di cogliere questo gesto.
L’idea dei doni d’arte rimbalzava nella mia testa da molto tempo ma solo con l’occasione del viaggio in Nepal nell’estate del 2011 mi sono resa conto che non potevo perdere un’occasione del genere per concretizzare questo spunto creativo.
Era un periodo in cui la pittura non mi soddisfaceva più: non riuscivo a coniugare la bellezza esteriore di un quadro ben fatto con il valore forte del messaggio intrinseco all’opera.
Cercavo un motivo ispiratore che coniugasse il mio amore per l’arte contemporanea, la riconoscibilità – ma non ripetitività- dell’agire di un artista e la mia naturale empatia per gli altri.
Volevo creare opere che generassero un cambiamento positivo nello sguardo di chi le osserva: produrre una specie di abbraccio visivo e cura dell’anima.
La ricerca di un gesto romantico (nel senso in cui lo intendevano Baudelaire e gli altri eh!) mi ha portato a chiedermi se abban-donare pezzi unici come le opere d’arte fosse una pratica ancora più impavida di quella che stava ormai diventando un gesto conosciuto quale l’abbandono dei libri.
Ecco quindi il gesto dell’abban-dono: il mio punto d’incontro tra significato ed estetica, quel pensiero da cui è nata questa avventura dei doni d’arte.
Il buonsenso vorrebbe che i giorni prima di un viaggio così importante andrebbero dedicati a perfezionare il proprio bagaglio, ad apprendere cose su quel luogo lontano, a conoscere usi e costumi di un popolo così diverso dalla nostra cultura.
Io però ero rapita da questa idea folle e quindi mi tuffai nella pittura “matta e disperatissima” di undici quadri su tavola grandi 30cm x 30cm. Rappresentavano tutti semplici paesaggi di quelli che qualche anno prima dipingevo per finanziare le mie vacanze in campeggio tra le capitali europee da spiantata studentessa di Belle Arti.
Non so perchè scelsi quei soggetti, simbolicamente potrei dire che rappresentavano un ponte tra l’artista che ero stata fino ad allora e quella che desideravo essere.
Più semplicemente vi confesso che dipinsi radure, alberi solitari e prati perchè la bellezza della natura è un messaggio universale e pensai che fosse un soggetto rispettoso di qualsiasi religione: un fattore cui tener conto quando ci si reca in un paese strabordante di spiritualità come il Nepal.
Sono partita per Kathmandu con uno zaino carico di vestiti, scarponi pesanti e 11 quadrati di legno colorato, carichi di speranze artistiche.
Mi sono messa in viaggio intraprendendo una strada tutta in salita rispetto a quella dell’arte figurativa, una via avventurosa per il pensiero che negli anni mi ha sempre reso felice ed è tutt’oggi generatrice di nuove sfide e traguardi che sono in realtà emozionantissime idee.
PS. In questo viaggio 3 degli 11 doni d’arte sono stati consegnati tra le mani di persone speciali. Quei quadri sono stati considerati un sigillo a questi favolosi incontri e non li vedrete catalogati.
Le altre opere sono invece a tutti gli effetti il primo esperimento di “doni d’arte”.